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«Un uomo e la sua terra», per ricordare Antonio Guerra
CULTURA | Il volume dedicato al lese, dalla Resistenza alla cooperazione locale
«Un uomo e la sua terra»,per ricordare Antonio Guerra
«Un uomo e la sua terra. Questa non è soltanto una biografia; la storia di un uomo forte e determinato, passato attraverso la guerra, la Resistenza, che gli strappò il fratello più grande, il lavoro precoce nei campi, l’impegno sociale e sindacale, la storia del movimento agrario e cooperativo dagli anni 50 fino al tramonto del secolo scorso». Sono questi alcuni passaggi della postfazione scritta dall’onorevole Guglielmo Epifani, ex segretario generale della Cgil, per il bellissimo libro su Antonio Guerra dal titolo Un uomo e la sua terra, scritto da Egidio Checcoli e da Delfina Tromboni, pubblicato dalla casa editrice Tresogni in collaborazione con la Fondazione Primaro di Filo. Antonio Guerra è stato uno straordinario esempio di quegli uomini e quelle donne che nel Novecento cercarono di dare il loro contributo per costruire un mondo più giusto e «umano», come ricordano nelle loro testimonianze e nei loro documenti i lavoratori e le lavoratrici filesi. «Toni», come i più lo ricordano, aveva iniziato a lavorare fin da ragazzo nella cooperazione agricola, prima nella «Terra e Lavoro» di Filo poi nella Cooperativa Agricola Braccianti,oggi «Giulio Bellini». Dal 1966 al 1972 è stato segretario della Lega dei braccianti della Camera del Lavoro di Filo. Cessato l’impegno sindacale, tornò a lavorare in cooperativa come capo azienda nella tenuta Vittoria. Dal 1979 al 2001 è stato presidente della Cooperativa «Giulio Bellini», ricoprendo contestualmente il ruolo di amministratore in diverse società cooperative operanti nel settore agro-industriale. Oggila cooperativa che ha presieduto per diversi anni è una delle più importanti realtà imprenditoriali della nostra regione. La sua esperienza lavorativa e sindacale attraversò dunquetutti gli anni dei grandi scioperi bracciantili: da quello del 1954, in cui era appena un ragazzino, all’ultimo grande sciopero delle campagne, quello del 1969, che chiuse un periodo di grandi sconvolgimenti sociali e chiuse virtualmente anche la primazia del bracciantato nella vita sociale e politica della provincia ferrarese.Era invece appena un bambino durante gli scioperi del 1949, ma sicuramente ne ebbe notizia e rispondenza nella
sua famiglia, una famiglia di semplici e onesti lavoratori, che conosceva da sempre la durezza delle lotte per il lavoro (la madre, Natalìa, fu tra i bambini dei braccianti locali affidati per tre mesi a famiglie di altre provincie durante il lungo sciopero del 1907) e che aveva perso uno dei suoi figli nella guerra partigiana. La sensibilità di Antonio Guerra per mantenere viva, oltre alla memoria della Resistenza e dei suoi caduti, anche quella dei morti durante le lotte per il lavoro e in particolare del sacrificio della Maria Margotti, madre di due fi glie bambine, è nota nel suo paese natale e tra quanti l’hanno personalmente conosciuto. Non è retorico affermare che per uomini come Antonio Guerra, che non aveva ancora cinque anni quando il fratello più «grande» fu trucidato, lottare, nel dopoguerra, sia in prima persona che organizzando rivendicazioni e lotte collettive per costruire una società più giusta, in cui il lavoro venisse riconosciuto e valorizzato e tutti fossero liberi di compiere le loro scelte, fu anche un modo per tener fede al sacrificio di chi non aveva esitato a mettere in gioco la sua stessa vita per restituire all’Italia e alla sua gente un futuro degno di essere vissuto. Gli anni in cui Antonio Guerra divenne segretario della Lega Braccianti (1966-1972) sono anni in cui lo scontro più cruento è ormai alle spalle: i braccianti e le braccianti ferraresi hanno subito un forte ridimensionamento quantitativo,passando dai 120.000 del 1945 ai poco più di 65.000 della fine degli anni ‘50; le famiglie delle campagne hanno conosciuto lo smembramento e l’emigrazione sia interna che all’estero in cerca di lavoro: secondo il censimento della popolazione del 1961 la provincia di Ferrara registra 46.000 emigrati; la «riforma» agraria impostatadal governo attraverso la legge «stralcio» e l’Ente per la colonizzazione del Delta padano ha ormai svelato il suo effetto meno positivo, con la creazione di piccolissime proprietà contadine (anche meno di due ettari!) incapaci per la maggior parte di assicurare un soddisfacente sostentamento alle famiglie impegnate sulla terra. Nel libro ci sono anche tante belle testimonianze di chi ha avuto la fortuna e il privilegio di conoscere questa straordinaria persona. Vale la pena stralciare alcune frammenti di queste testimonianze partendo da quella di un dirigente della cooperazione, Sergio Caselli: «Toni l’ho conosciuto tanti anni fa… Poi c’era un appuntamento fisso: le feste dell’Unità di Filo, che ho sempre frequentato e non posso certamente dimenticare le belle e sane discussioni politiche, assieme all’amico Vindice Lecis, scrittore e giornalista del Gruppo L’Espresso, con Egidio (Checcoli) ed i compianti Toni e Gheo (Luigi Zanotti). C’era molta sintonia con queste persone ed il confronto politico tra di noi era bello, rispettoso delle diversità, senza doppiezze e fraintendimenti. Le nostre discussioni erano intense al punto che nessuno aveva voglia di abbandonare quel tavolo e ritornarsene a casa. Provo nostalgia pensando a quei momenti, alla delusione che mi pervade se penso a com’è la politica ai giorni nostri, alle volgarità nei confronti politici, dove l’unica cosa che ormai conta è l’apparire».Poi quella di uno dei più bravi fotoreporter italiani: Mario Rebeschini. «Conoscere Toni è stata per me una bellissima scoperta. Mi ha aiutato a scoprire le meraviglie della nostra terra, delle nostre radici e della cultura che l’accompagna. Nelle nostre lunghe conversazionimi sono reso conto della passione che aveva per il suo lavoro, del legame con la sua gente e dell’amore per la terra. Poi c’è un tratto distintivo della sua persona che mi è rimasto impresso ed era un misto di pudore e di riservatezza nell’esprimere i suoi sentimenti, che ti facevano capire il rispetto e l’amore che aveva per le persone». Infine quella di Luigi Zagni. «C’è da dire che mentre io ero di matrice socialista, iscritto al Psi, lui aveva la tessera del Pci. I valori di riferimento erano gli stessi e la nostra militanza politica non era conseguente al lavoro. Avevamo solo sensibilità diverse. Ma la nostra azienda nelle scelte gestionali è sempre stata al di sopra della politica ed esclusivamente al servizio dei soci e dei produttori. L’altra cosa, sempre di Toni, è che porto dentro di me un’immagine di una persona non di copertina, non da prima pagina, dove di solito ci sono volti costruiti, modellati, finalizzati, predisposti ad uso e consumo, come si usa dire. Lui era una persona autentica, la sua figura era solcata dal lavoro, dalla fatica, dal vivere quotidiano,cotto dal sole, a contatto col vero mondo produttivo, con la gente, con le intemperie e con le durezze della vita. Mai subdolo, ma vero e sempre realistico sulle cose».
9 Gennaio 2015 | Numero 103 CULTURA | Il volume dedicato al lese, dalla Resistenza alla cooperazione locale «Un uomo e la sua terra», per ricordare Antonio Guerra «Un uomo e la sua terra. Que-sta non è soltanto una biogra-a; la storia di un uomo forte e determinato, passato attra-verso la guerra, la Resistenza, che gli strappò il fratello più grande, il lavoro precoce nei campi, l’impegno sociale e sin-dacale, la storia del movimen-to agrario e cooperativo dagli anni 50 no al tramonto del secolo scorso». Sono questi al-cuni passaggi della postfazione scritta dall’onorevole Gugliel-mo Epifani, ex segretario gene-rale della Cgil, per il bellissimo libro su Antonio Guerra dal titolo Un uomo e la sua terra, scritto da Egidio Checcoli e da Delna Tromboni, pubblicato dalla casa editrice Tresogni in collaborazione con la Fonda-zione Primaro di Filo. Antonio Guerra è stato uno straordinario esempio di que-gli uomini e quelle donne che nel Novecento cercarono di dare il loro contributo per co-struire un mondo più giusto e «umano», come ricordano nelle loro testimonianze e nei loro documenti i lavoratori e le lavoratrici lesi. «Toni», come i più lo ricorda-no, aveva iniziato a lavorare n da ragazzo nella cooperazione agricola, prima nella «Terra e Lavoro» di Filo poi nella Co-operativa Agricola Braccianti,oggi «Giulio Bellini». Dal 1966 al 1972 è stato segretario della Lega dei braccianti della Ca-mera del Lavoro di Filo. Cessato l’impegno sindacale, tornò a lavorare in cooperativa come capo azienda nella tenu-ta Vittoria. Dal 1979 al 2001 è stato presidente della Coopera-tiva «Giulio Bellini», ricopren-do contestualmente il ruolo di amministratore in diverse so-cietà cooperative operanti nel settore agro-industriale. Oggila cooperativa che ha presiedu-to per diversi anni è una delle più importanti realtà impren-ditoriali della nostra regione. La sua esperienza lavorativa e sindacale attraversò dunquetutti gli anni dei grandi scio-peri bracciantili: da quello del 1954, in cui era appena un ragazzino, all’ultimo grande sciopero delle campagne, quel-lo del 1969, che chiuse un pe-riodo di grandi sconvolgimen-ti sociali e chiuse virtualmente anche la primazia del braccian-tato nella vita sociale e politica della provincia ferrarese.Era invece appena un bam-bino durante gli scioperi del 1949, ma sicuramente ne ebbe notizia e rispondenza nella sua famiglia, una famiglia di semplici e onesti lavoratori, che conosceva da sempre la durezza delle lotte per il lavo-ro (la madre, Natalìa, fu tra i bambini dei braccianti locali adati per tre mesi a famiglie di altre provincie durante il lungo sciopero del 1907) e che aveva perso uno dei suoi -gli nella guerra partigiana. La sensibilità di Antonio Guerra per mantenere viva, oltre alla memoria della Resistenza e dei suoi caduti, anche quella dei morti durante le lotte per il lavoro e in particolare del sa-cricio della Maria Margotti, madre di due  glie bambine, è nota nel suo paese natale e tra quanti l’hanno personalmente conosciuto. Non è retorico af-fermare che per uomini come Antonio Guerra, che non ave-va ancora cinque anni quando il fratello più «grande» fu tru-cidato, lottare, nel dopoguer-ra, sia in prima persona che organizzando rivendicazioni e lotte collettive per costruire una società più giusta, in cui il lavoro venisse riconosciuto e valorizzato e tutti fossero li-beri di compiere le loro scelte, fu anche un modo per tener fede al sacricio di chi non aveva esitato a mettere in gio-co la sua stessa vita per resti-tuire all’Italia e alla sua gente un futuro degno di essere vis-suto. Gli anni in cui Antonio Guerra divenne segretario del-la Lega Braccianti (1966-1972) sono anni in cui lo scontro più cruento è ormai alle spalle: i braccianti e le braccianti ferra-resi hanno subito un forte ridi-mensionamento quantitativo,passando dai 120.000 del 1945 ai poco più di 65.000 della ne degli anni ‘50; le famiglie delle campagne hanno conosciuto lo smembramento e l’emigra-zione sia interna che all’estero in cerca di lavoro: secondo il censimento della popolazione del 1961 la provincia di Ferra-ra registra 46.000 emigrati; la «riforma» agraria impostatadal governo attraverso la legge «stralcio» e l’Ente per la colo-nizzazione del Delta padano ha ormai svelato il suo eetto meno positivo, con la creazio-ne di piccolissime proprietà contadine (anche meno di due ettari!) incapaci per la maggior parte di assicurare un soddi-sfacente sostentamento alle famiglie impegnate sulla terra. Nel libro ci sono anche tante belle testimonianze di chi ha avuto la fortuna e il privilegio di conoscere questa straordi-naria persona. Vale la pena stralciare alcune frammenti di queste testimonianze par-tendo da quella di un dirigen-te della cooperazione, Sergio Caselli: «Toni l’ho conosciu-to tanti anni fa… Poi c’era un appuntamento sso: le feste dell’Unità di Filo, che ho sem-pre frequentato e non posso certamente dimenticare le bel-le e sane discussioni politiche, assieme all’amico Vindice Le-cis, scrittore e giornalista del Gruppo L’Espresso, con Egidio (Checcoli) ed i compianti Toni e Gheo (Luigi Zanotti). C’era molta sintonia con queste per-sone ed il confronto politico tra di noi era bello, rispettoso delle diversità, senza doppiez-ze e fraintendimenti. Le nostre discussioni erano intense al punto che nessuno aveva vo-glia di abbandonare quel tavo-lo e ritornarsene a casa. Pro-vo nostalgia pensando a quei momenti, alla delusione che mi pervade se penso a com’è la politica ai giorni nostri, alle volgarità nei confronti politici, dove l’unica cosa che ormai conta è l’apparire».Poi quella di uno dei più bra-vi fotoreporter italiani: Mario Rebeschini. «Conoscere Toni è stata per me una bellissima scoperta. Mi ha aiutato a sco-prire le meraviglie della nostra terra, delle nostre radici e della cultura che l’accompagna. Nel-le nostre lunghe conversazionimi sono reso conto della pas-sione che aveva per il suo lavo-ro, del legame con la sua gente e dell’amore per la terra. Poi c’è un tratto distintivo della sua persona che mi è rimasto impresso ed era un misto di pudore e di riservatezza nell’e-sprimere i suoi sentimenti, che ti facevano capire il rispetto e l’amore che aveva per le perso-ne». Inne quella di Luigi Zagni. «C’è da dire che mentre io ero di matrice socialista, iscritto al Psi, lui aveva la tessera del Pci. I valori di riferimento erano gli stessi e la nostra militanza politica non era conseguente al lavoro. Avevamo solo sensibili-tà diverse. Ma la nostra azienda nelle scelte gestionali è sempre stata al di sopra della politica ed esclusivamente al servi-zio dei soci e dei produttori. L’altra cosa, sempre di Toni, è che porto dentro di me un’im-magine di una persona non di copertina, non da prima pagi-na, dove di solito ci sono volti costruiti, modellati, nalizzati, predisposti ad uso e consumo, come si usa dire. Lui era una persona autentica, la sua gu-ra era solcata dal lavoro, dalla fatica, dal vivere quotidiano,cotto dal sole, a contatto col vero mondo produttivo, con la gente, con le intemperie e con le durezze della vita. Mai sub-dolo, ma vero e sempre realisti-co sulle cose». Gentes di Filo